Giovedì, 13 Aprile 2006 17:08

Guardando al referendum costituzionale

Scritto da  Gerardo

Il logo di A.S.Fe.R.’Passati i giorni degli scontri elettorali, riteniamo utile dar voce ad un altro evento che impegnerà gli italiani nelle prossime settimane: il referendum costituzionale

A questo proposito, vi proponiamo un articolo apparso sul numero di marzo del Segno, il mensile della diocesi di Milano, dal titolo: Una repubblica fondata sul primo ministro
33335. MILANO-ADISTA. "Una bomba a scoppio ritardato" che metterà a rischio la democrazia nel nostro Paese. È il giudizio del presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida sulla riforma della Costituzione approvata dalla Casa delle Libertà nel novembre 2005, ma che diventerà operativa, se il referendum confermativo non la boccerà prima, solo nel 2011 e, in alcune sue parti, nel 2016.
Ospitato sul numero di marzo del "Segno", il mensile della diocesi Milano, quello di Onida è l'ennesimo parere negativo che arriva dal mondo cattolico sulla principale riforma del centro-destra nei suoi cinque anni di governo (v. Adista nn. 69 e 77/04; 33, 37, 45, 81 e 85/2005; 17/06).

Qualcuno ha detto che "la nostra Costituzione sarebbe obsoleta e da rifare perché vecchia di 60 anni – scrive Onida – ma le Costituzioni sono di per sé documenti destinati a durare nel tempo, non sono leggi che affrontano in maniera contingente problemi contingenti, sono documenti che pongono i fondamenti stabili della convivenza civile".
Quella della destra, allora, è una mera operazione di "nuovismo costituzionale", come già denunciava Giuseppe Dossetti – per di più nata non da "convincimenti profondi di tutte le forze politiche che l'hanno votata", ma come "una sorta di prezzo pagato a qualcuno" – che produrrà un mix di confusione, conflittualità fra i poteri dello Stato e autoritarismo del premier.

"La cosiddetta devoluzione", scrive il presidente emerito della Corte, "appare come una riforma prevalentemente di facciata": non è vero che le Regioni avranno "competenza esclusiva" su sanità, organizzazione scolastica e polizia amministrativa, dal momento che allo Stato centrale rimarranno "ampie competenze".
Il risultato sarà "più confusione" e il rischio di un frazionamento del Servizio sanitario nazionale in "tanti servizi regionali": questo sarebbe "un reale pericolo, perché potrebbe intaccare il diritto dei cittadini ad usufruire delle cure in tutto il territorio nazionale". E "conflitti fra gli organismi legislativi" verranno invece prodotti dal nuovo bicameralismo, realizzato dalla Camera dei deputati e dal "cosiddetto" Senato federale: "alla Camera resterebbe la competenza principale sulle leggi che riguardano le materie di esclusiva pertinenza statale, salvo alcune che spetterebbero a entrambe le Camere, mentre il Senato avrebbe l'ultima parola sulle leggi nelle materie di competenza concorrente (cioè dove lo Stato si limita a dettare i princìpi, e il resto sta alla legge regionale)".
Ma questa distinzione fra norme, spiega Onida, "non si può fare in modo netto", per cui una legge potrebbe essere composta di "norme generali" (di competenza della Camera), "princìpi fondamentali" (di competenza del Senato) e "livelli essenziali di prestazioni" (di competenza bicamerale): avremmo così "tre diversi procedimenti legislativi" che paralizzerebbero il sistema e darebbero luogo a "conflitti fra gli organismi legislativi".

Ma è "la forma di governo", secondo Onida, ad essere l'aspetto "più delicato" e "più pericoloso" della riforma: "c'è un disegno di fortissima concentrazione del potere politico nelle mani del presidente del Consiglio, che assume il nome di primo ministro", non più espressione della maggioranza parlamentare ma eletto direttamente. "Pur essendo la norma formulata in modo ambiguo, si avrebbe una legittimazione diretta del primo ministro, autonoma dalla sua stessa maggioranza; non sarebbe più una maggioranza che esprime un leader, ma un leader che ‘condiziona' la sua maggioranza".
Il primo ministro avrebbe di fatto la "responsabilità esclusiva di sciogliere le Camere" (sottratta al presidente della Repubblica) così da poter "condizionare la vita e la volontà del Parlamento". "Penso che ciò sia un rischio per la democrazia, che verrebbe ridotta a una delega plebiscitaria, ogni cinque anni, a una sola persona, senza adeguati contrappesi". (Luca Kocci)
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